Il bambino emette i primi suoni sin dai primi mesi, e poi comincia a pronunciare sillabe ripetute fino a pronunciare la fatidica prima aprola, che in genere è mamma, papà, pappa, cacca. Ma quando inizia a parlare il bambino?
La-la-la, Ma-ma-ma, Pa-pa-pa: sono queste le prime parole con le quali un essere umano di pochi mesi prova a comunicare.
Si chiama lallazione: apparentemente può sembrare un balbettio senza senso, invece è il primo autentico tentativo che il bambino fa di associare vocale e consonante e di comunicare.
Non solo, se i genitori danno seguito alle prime sillabe completando le parole e pronunciando vocaboli corretti il bambino sarà più stimolato a continuare a comunicare e a parlare.
Parlare è un’abilità molto complessa e per niente facile da apprendere. Il bambino in pochi mesi compie dei progressi straordinari sia nel suo sviluppo fisico che in quello cognitivo.
I bambini di pochi mesi emettono soltanto suoni e gorgoglii, mentre intorno ai quattro mesi iniziano a parlare per lallazione e intorno al primo anno di vita cominciano a comunicare con dei vocaboli comprensibili.
Recenti ricerche hanno dimostrato che il 4% dei bambini non dice nemmeno una parola a tre anni (si tratta di casi che vanno segnalati al pediatra e affidati al logopedista), mentre le femminucce sono più precoci: a nove mesi dice la prima parola il 32% delle bambine contro il 27% dei maschietti.
Secondo alcuni studiosi dell’Hunter College di New York imparerebbero in modo del tutto simile a quello usato dagli uccellini. Lo studio ha preso in considerazione bambini di età compresa tra 9 e 28 mesi e comparando il metodo di apprendimento del linguaggio con quello di un uccellino australiano chiamato Diamante Mandarino.
Secondo quanto osservato dai ricercatori gli uccellini imparavano a comunicare con gli adulti utilizzando una precisa tecnica: in una prima fase smembravano un codice composto da lettere e poi lo ricomponevano alla ricerca, per tentativi, del codice giusto per esprimere le sillabe e poi le parole. La stessa tecnica veniva usata dai bambini nella fase della lallazione, non è un mistero, infatti, che i bambini comincino a sillabare andando per tentativi unendo le lettere tra loro per arrivare alle prime parole.
E’ molto importante che la mamma e il papà parlino con il piccolo, sin dai primi mesi. Se il bambino pronuncia delle sillabe è importante dargli seguito, mostrarsi interessati ed entusiasti e rispondergli; se invece il bambino non parla è importante che venga stimolato.
E’ utile raccontare al bambino, sin dai primi mesi, cosa si sta facendo in quel momento oppure parlare con lui. I genitori si accorgeranno presto che, anche se non parlano ancora, i bambini capiscono bene ciò che gli viene detto.
Un interessante studio condotto dall’Università di Rochester dimostra che le modalità di apprendimento della lingua da parte dei bambini sono davvero straordinarie e riservano sempre qualche sorpresa.
Quando siamo parlando con un bambino e una parola ci sfugge di mente, quella pausa, magari quel 'mmhh' che precede il vocabolo non confonde il piccolo, tutt’altro: gli fa caprie che sta per arrivare una nuova informazione, risveglia il suo interesse e l’attenzione.
Quando il papà o la mamma parlano ai bambini spesso fanno delle esitazioni, causate generalmente da un lapsus di memoria sulla parola da esprimere e chiamate disfluenze, ma ciò incuriosisce i bambini e riaccende l’attenzione favorendo l’apprendimento della parola stessa.
Questa reazione è particolarmente evidente, spiegano i ricercatori su Developmental Science, intorno ai due anni quando la capacità di immagazzinare informazioni utili per l’apprendimento di una lingua è estremamente elevata e l’impegno profuso è notevole.
Per osservare il fenomeno i ricercatori del Baby Lab dell’ateneo nordamericano, guidati da Richard Aislin, hanno analizzato in laboratorio le reazioni di un gruppo di bambini tra i 18 e i 30 mesi.
I bambini erano seduti sulle ginocchia di un genitore e posti davanti a un monitor dove apparivano due immagini, una familiare e una inventata. Ad ogni oggetto veniva associato un nome ma se la voce registrata faceva una pausa o aveva un’esitazione l’occhio dei bambini, nel 70% dei casi, correva all’oggetto sconosciuto.
Il motherese, il linguaggio con il quale la mamma comunica con il bambino caratterizzato da parole semplici e da un’intonazione della voce modulata attraverso i sentimenti, può rappresentare da un lato una cifra linguistica personale e affettuosa dall’altro può alla lunga rendere più difficile l’apprendimento della corretta pronuncia delle parole.
Uno studio pubblicato su Cognitive Development ha chiarito che un bambino anche piccolo è in grado di capire ciò che la mamma gli sta dicendo anche se parla una lingua diversa da quella conosciuta. Meredith Gattis, della Scuola Universitaria di Psicologia dell’Università di Cardiff, ha coinvolto alcuni bambini di 12 mesi e le loro mamme alle quali è stato chiesto di parlare ai propri figli in due lingue diverse, inglese e greco, dopo aver compiuto alcune azioni interagendo con dei giocattoli.
I bambini hanno mostrato di comprendere ciò che le mamme dicevano sia quando parlavano in greco (lingua a loro sconosciuta) che in inglese (la madrelingua). In altre parole ciò che rende speciale la comunicazione tra madre e figlio sono l’espressione e il tono della voce e quindi per migliorare la qualità della comunicazione tra madre e figlio non è importante dire precise parole, quanto usare il giusto tono di voce.