Vite rare, persone che convivono con una malattia rare e che raccontano la propria storia in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare.
Sono Vanessa, 21enne studentessa di Comunicazione e vi spiego cosa significa avere il morbo di Werlhof, detto più comunemente PTI.
Convivo con questa patologia da quando avevo 11 anni, è una rara forma di malattia autoimmune, causata da uno scontro tra fegato e milza che distruggono le mie piastrine. Esteriormente si manifesta per la comparsa di emorragie spontanee, lividi e puntini sulla pelle, detti petecchie, a causa del basso numero di piastrine e una stanchezza continua e costante, detta fatigue.
Sono seguita all’ospedale San Gerardo di Monza e l’ematologo che mi ha accompagnata in questi 10 anni è il mio angelo, perché mi ha permesso di vivere serenamente grazie alle sue rassicurazioni. La cosa importante? Non abbattersi davanti ai sintomi della malattia, perché anche se abbiamo un corpo che non sempre ci segue, la nostra mente viaggia comunque a 100 all’ora e possiamo vivere ogni nostro sogno. La malattia è solo un altro lato della vita e io ho imparato a vederla come una mia compagna di viaggio; c’è sempre una luce!
Mi sono trasferita in Italia nel 2017, quando ho vinto una borsa all’Università di Padova per portare avanti i miei studi in ingegneria meccanica. Qui, dopo essermi ambientata, ho deciso di iscrivermi ad un corso di danza, vicino a casa. Durante una lezione di ballo, una signora mi è caduta addosso e per via del colpo ricevuto, i miei compagni hanno deciso di portarmi al pronto soccorso. Il caso ha voluto che facendo gli esami per la contusione subita, i medici hanno visto che le mie analisi non quadravano e che andavano indagate ulteriormente.
Grazie all’iniziativa, volontà ed umanità del medico del pronto soccorso che ha voluto analizzare più approfonditamente i miei sintomi così indecifrabili, sono stata introdotta ad una specialista in neurologia dell’Ospedale Sant’Antonio di Padova, e in una settimana è giunta la mia diagnosi: malattia lisosomiale di Anderson-Fabry. Questo è un fatto molto importante, se si pensa che nella maggior parte dei casi ti rimandano indietro sottostimando il problema. Dunque mi ritengo estremamente fortunata ad aver incontrato in pronto soccorso il medico che – avendo un sospetto e volendo farmi fare accertamenti aggiuntivi- mi ha salvata.