Il neonato piange spesso e per un mucchio di ragioni. La maggior parte delle volte piange perché sta vivendo un disagio, ha fame, sonno, sete, ha caldo, vuole semplicemente essere coccolato, e per far calmare il pianto è sufficiente comprendere le ragioni del pianto e soddisfarle. A ricordare perchè non bisogna ignorare il pianto del neonato e che lasciar piangere un neonato può provocare gravi problemi nel suo sviluppo è un articolo apparso su Psicology Today.
Gli esperti ricordano che lasciar piangere un bambino può comportare quattro conseguenze negative. Eccole.
- Compromette la fiducia del bambino: il primo anno di vita sia un periodo estremamente sensibile perché si crei e si rafforzi un senso di fiducia nel mondo, nei confronti dei genitori e degli adulti e verso e stesso. Se il bambino cresce con la consapevolezza che ha bisogno di aiuto qualcuno sarà accanto a lui crescerà con l’idea che il mondo è un luogo degno di fiducia.
- La sensibilità dei genitori o di chi si prende cura del bambino risulta danneggiata: un adulto che si allena e si abitua a far piangere un bambino probabilmente imparerà anche a ignorare i richiami più sottili del bambino e i suoi bisogni. Un genitore che ascolta e soddisfa le richieste del bambino si allena ad essere un adulto più sensibile e maggiormente dotato di empatia, intelligenza e competenza sociale.
- Il bambino che non viene ascoltato diventerà con maggiore probabilità un bambino lamentoso e aggressivo perché è abituato a non chiedere aiuto, ma urlerà per avere soddisfazione: uno studio dell’Università di Yale e della Harvard Medical School ha scoperto nell’organismo dei bambini che vivono condizioni di stress viene rilasciato il cortisolo, un ormone che può danneggiare o addirittura distruggere i neuroni che si stanno ancora formando. Ciò può provocare un aumento del rischio di ADHD, tendenze anti-sociali e difficoltà scolastiche
- L'autoregolamentazione risulta compromessa: ci vuole tempo ed esperienza prima che il bambino impari ad auto-calmarsi. Se viene lasciato da solo a piangere, in una culla o in un box, il bambino impara a chiudersi di fronte alla sofferenza e, come dicono Henry e Wang in una ricerca pubblicata su Psychoneuroendocrinology, smette di crescere, smette di sentire e smette di affidarsi.
Perfino Richard Ferber, autore della discussa ma molto seguita teoria secondo cui il bambino va lasciato da solo a piangere nel suo lettino per abituarlo a dormire nella cameretta (teoria ripresa da Eduard Estivill con il suo libro 'Fate la nanna') ha dovuto fare un passo indietro.
In una intervista lo studioso, nonché direttore del Center for Pediatric Sleep Disorders presso il Children's Hospital di Boston, ha tenuto a precisare che il suo approccio per risolvere i disturbi del sonno dei bambini è complesso: bisogna prima capire se il bambino dorme troppo durante il giorno, ha qualche disturbo fisico o ambientale e solo quando ci si è accertati che ormai si è abituato ad essere coccolato e aiutato ad addormentarsi, si può provare gradualmente a togliere questa abitudine insegnandogli (anche a costo di qualche lacrima) ad addormentarsi e riaddormentarsi da solo.
Francesca Capriati
Giornalista
Mamma blogger
Dalla gravidanza al parto, dall'allattamento all'adolescenza: il mio spazio virtuale per condividere esperienze, difficoltà ed informazioni.