"Il bambino non mi guarda, non mi obbedisce, si comporta come se neanche esistessi o addirittura sembra burlarsi di noi. Come dobbiamo comportarci con lui?" A questa domanda, posta da genitori di un bambino autistico, molti professionisti rispondono "Fate semplicemente i genitori".
Ma 'fare i genitori' di un bambino autistico non è affatto semplice, se non si viene messi a conoscenza su come è possibile ottenere attenzione e collaborazione, e se non si sanno affrontare nel modo giusto i problemi di comportamento, oggi interpretati come espressione dell’incapacità ad esprimere i propri bisogni e desideri.
La famiglia si vede quindi costretta ad informarsi autonomamente e rischia di perdersi in una miriade di informazioni e tentativi. Dovrebbe essere, invece, adeguatamente preparata ad intervenire efficacemente nell’educazione del proprio figlio, e ad adottare altre forme di comunicazione, attraverso la preparazione congiunta da parte di professionisti e familiari di un programma da svolgere a casa con l’aiuto di controlli periodici, o almeno tempestivamente e costantemente informata delle modalità degli apprendimenti raggiunti al di fuori dell’ambito familiare.
L’angoscia della famiglia per l’incertezza del futuro del proprio bambino dovrebbe essere alleviata da una precoce programmazione del suo futuro: sapere che il bambino frequenterà una scuola materna e una scuola dell’obbligo come tutti gli altri bambini, seguito da persone competenti, prontamente disponibili e il più possibile stabili, realmente interessate al problema e motivate ad intervenire all’unisono con i familiari per sviluppare al massimo le potenzialità del bambino può rappresentare un enorme sollievo.
La formazione di personale sanitario e scolastico competente è perciò un aiuto indispensabile non solo per il bambino, ma anche per la famiglia. Resta purtroppo per ora irrisolto il problema anche perché ancora l’istituzione pubblica non ha messo a disposizione personale scolastico qualificato, l’insegnante è preparato all’handicap in generale ma non ad affrontare il problema di questi bambini.
Accettare un figlio handicappato ma con una strada futura già delineata sarebbe assai più facile e certamente la qualità della vita familiare ne sarebbe molto migliorata.
Benchè la legge quadro sull’handicap preveda che tutte le istituzioni (sanità, scuola, assistenza) debbano farsi carico dell’integrazione della persona handicappata, nella realtà spesso ognuna interviene in modo autonomo non sempre coerente, e la famiglia deve farsi carico di sollecitare incontri o trovare attività di tempo libero.
I bambini autistici si possono ammalare come tutti gli altri bambini, ma anche le necessità sanitarie costituiscono un problema per la famiglia della persona autistica, per la difficoltà diagnostica da parte di medici che non conoscano l’handicap o per la mancanza di strutture ospedaliere attrezzate per operare su questi soggetti: allo stress della malattia si aggiunge quindi l’ansia di trovare un intervento adeguato. Sarebbe quindi opportuno individuare un responsabile che garantisca la coerenza degli interventi educativi in un programma globale, e individui in caso di necessità i professionisti e le strutture più adatte ad intervenire in caso di malattia.
La nostra società non è ancora matura per poter accettare 'questi bambini', e ciò che è in questione non è solo lo spazio che a loro dovrebbe riservare, ma anche il ruolo che devono svolgere tutti coloro che sono impegnati nella loro cura.
A questo punto ci si chiede: ma l’istituzione pubblica dov’è? Quale ruolo occupa in questo caotico ed improvvisato universo?