Ogni anni vengono alla luce 5-6 bambini sordi ogni mille neonati e la vera sfida per questi piccoli è quella di riuscire a crescere in maniera autonoma, aprirsi al mondo e agli altri e soprattutto trovare un modo per comunicare.
Per le famiglie che allevano un bambino sordo spesso questo canale di comunicazione si chiama linguaggio dei segni (LIS, lingua dei segni italiana). Non si tratta solo di uno strumento per comunicare, ma di una vera e propria lingua riconosciuta nei Paesi dell’Unione Europea e dotata di strutture, regole sintattiche e grammaticali, nonché morfologiche del tutto uniche.
Il linguaggio dei segni consiste nell’utilizzare mani, espressioni facciali, gesti ciascuno dei quali corrisponde a un vocabolo o a un’espressione della lingua italiana. Accanto al linguaggio dei segni esiste anche un alfabeto manuale (dattilogia), che consiste nello 'scrivere nell’aria' lettere che compongono vocaboli altrimenti difficilmente riproducibili con il LIS: parole in una lingua straniera, nomi di città o persone…
Come tutte le altre lingue, anche il linguaggio dei segni si è evoluto con gli anni in maniera naturale arricchendo il proprio bagaglio visivo-gestuale di atteggiamenti manuali, come l’espressione del viso, la posizione, il movimento delle mani, sempre più sofisticati (esistono, ad esempio, precise espressioni facciali per porre una domanda diretta o indiretta o per esprimere un imperativo o una richiesta più complessa).
Inoltre non esiste un linguaggio dei segni uguale per tutti i Paesi: negli Stati Uniti, ad esempio, esiste l’American Sign Language (ASL), in Gran Bretagna il British Sign Language (BSL), in Francia la Langue des Signes Français (LSF) e così via in tantissimi Paesi.
Ciò che accomuna tutti i linguaggi dei segni è che si tratta tecnicamente della lingua appartenente a una precisa comunità e che quindi va riconosciuta, promossa e diffusa il più possibile, come richiesto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Per approfondire: Ente Nazionale Sordi Onlus