Il progetto, unico in Europa, è stato avviato dall’Ospedale Idi di Roma in collaborazione con il parco acquatico Zoomarine e coinvolge per un anno otto bambini tra gli 8 e i 14 anni.
Foche e leoni marini di varie specie, mammiferi acquatici «grandi e stupefacenti» che sembrano quasi appartenere al mondo delle fiabe, dove il gioco e la meraviglia si intrecciano con la realtà. E se la realtà è quella sommersa e chiusa dei bambini autistici, il contatto con questi animali può aprire spiragli di comunicazione. E’ questa l’idea che guida il progetto pilota di pet therapy con gli animali marini, avviato dall’Ospedale San Carlo di Nancy- Idi (Istituto Dermopatico dell’Immacolata) di Roma e Zoomarine, il parco del mare di Torvaianica. Ideatore e coordinatore del progetto è il dott. Davide Moscato, neuropsichiatra infantile, responsabile del Centro Cefalee dell’ospedale, che da sette anni coordina esperienze di pet therapy con bambini affetti da disturbi comportamentali, psichiatrici e autismo, utilizzando cani, caprette, conigli, pony, addestrati e curati in una «piccola fattoria» adiacente all’ospedale.
La terapia
«I risultati ottenuti in questi anni, su un campione di 500 bambini, ci hanno convinto ad estendere l’esperienza ad animali più impegnativi, ma anche più affascinanti - spiega Davide Moscato - Possiamo dire, con una metafora, che il contatto con foche e leoni marini può aiutare i bambini autistici a emergere dal proprio mondo sommerso, facendo affiorare una nuova capacità relazionale». Il percorso di terapia assistita si svolge alla Baia dei pinnipedi, una delle aree zoologiche del parco acquatico Zoomarine, che conta tredici esemplari tra foche grigie, leoni marini californiani, sudamericani e sudafricani. Il programma, della durata di un anno, coinvolge otto bambini tra gli 8 e i 14 anni, divisi in due gruppi da quattro. Una volta alla settimana, per un’ora e mezza, i bambini interagiscono direttamente con i mammiferi acquatici, assistiti da un’equipe di sei operatori, formata da psicologi, neuropsichiatri infantili, educatori e addestratori degli animali. I bambini sono stati selezionati attraverso dei test specifici mirati a valutare il tipo di patologia autistica; una valutazione che i medici ripetono ogni tre mesi, per l’intera durata della terapia, per monitorare le evoluzioni e i progressi.
Il contatto e il gioco
«Bisogna essere chiari: dall’autismo non si guarisce - precisa il dottor Moscato - è una patologia complessa e multifattoriale ancora oggetto di studio, per la quale non esiste al momento una terapia specifica. Ma la pet therapy si è rivelata uno strumento molto utile nei casi di autismo. Il bambino autistico è chiuso in un mondo tutto suo, si mostra poco ricettivo agli interventi relazionali e verbali. L’interazione con l’animale, mediata dalla presenza di un educatore, aiuta il bambino a stabilire un rapporto basato su una comunicazione semplice, preverbale, che favorisce la modulazione e l’emergere della relazione». In questo caso, il contatto con animali di grandi dimensioni - un leone marino può arrivare a pesare anche 400 chili - provoca nel bambino autistico un impatto emotivo intenso e insolito, che stimola curiosità e sorpresa. «I leoni marini e le foche hanno una duplice natura - aggiunge Moscato - sono animali che stanno fuori e dentro l’acqua, nell’acqua giocano e fanno acrobazie, e attraverso il gioco abbattono le barriere della paura del contatto fisico, anzi creano curiosità verso la dimensione della fisicità che nei bambini con autismo è spesso un ostacolo insormontabile».