Settecentomila bambini italiani respirano male e questa difficoltà si traduce in maggiori problemi di attenzione e concentrazione durante le attività quotidiane e ha anche ripercussioni sull'umore. Vediamo cosa ci dicono gli esperti e quando preoccuparci se il bambino respira male, soprattutto di notte.
Se il bambino respira male è più basso, si ammala di più e va peggio a scuola
spiega il pediatra milanese Italo Farnetani che invita i genitori a tenere d'occhio il modo i cui respirano i loro figli.
Le vie aeree del bambino fino alla pubertà sono a rischio di una ridotta ventilazione: soprattutto quelle a livello dell'epiglottide hanno una
struttura connettivo-muscolare pertanto, a causa del ridotto tono neuromuscolare notturno, si ha un ulteriore restringimento naturale delle vie aeree, accentuando il rischio di deficit respiratorio
Quando si verificano situazioni che possono ridurre la capacità ventilatoria possiamo certamente accorgercene se si manifestano sintomi evidenti, ma molto spesso l'entità è lieve e causa problemi alla salute in modo più subdolo.
A cosa prestare attenzione? Innanzitutto alle apnee notturne e al russamento, le prime riguardano 100mila bambini tra i 2 e i 10 anni e 600mila bambini della stessa età russano. Queste manifestazioni possono essere indice di una cattiva respirazione che si ripercuote sullo stato di salute e psicologico del bambino in dieci modi:
Un bambino su 5 russa durante il sonno. Il 3% dei piccoli, invece, combatte con un disturbo più complesso: le apnee notturne (Osas - Obstructive sleep apnea syndrome) e la mancanza ricorrente di ossigeno nel sangue può predisporre al diabete e all'arterosclerosi.
Giovanni De Vincentiis, dell'Unità Operativa di Otorinolaringoiatria dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, consiglia ai genitori di tenere d'occhio i segnali indicatori di possibili problemi:
possono essere indicatori di problemi del respiro che non vanno trascurati o sottovalutati.
Il secondo passo è programmare una visita con lo specialista (otorino, broncopneumologo) per indagare le cause del disturbo e per definire la terapia più idonea.
Per molti anni la medicina ha studiato con attenzione soprattutto i problemi legati al russamento notturno nell'età adulta, ritenendo erroneamente che le conseguenze negative delle difficoltà del respiro fossero appannaggio soprattutto di quella fascia di età. E' stato necessario prima comprendere che la manifestazione della malattia era profondamente differente nel bambino rispetto all'adulto. L'adulto che dorme male la notte è sonnolento nel corso della giornata, viceversa il bambino testimonia la mancanza di riposo notturno con iperagitazione (ha letteralmente i 'sette spiriti'): da quel momento si è cominciato a considerare con estrema attenzione i problemi correlati al russamento abituale e alle apnee notturne in età pediatrica
spiega De Vincentiis.
Nell'ampio spettro dei disturbi del respiro nel sonno nei bambini, che ha per estremi il russamento semplice e le apnee, si inseriscono, in percentuali variabili e con gradi crescenti di difficoltà respiratoria, il russamento abituale, la sindrome delle aumentate resistenze respiratorie (Uars) e l'ipoventilazione ostruttiva.
Le cause sono molteplici ed è noto il legame di questi disturbi con altre patologie: nel primo anno di vita è stato evidenziato il rapporto tra apnee e Alte (Apparent Life-Threatening Events, ovvero quegli episodi apparentemente rischiosi per la vita dei lattanti). Numerosi studi scientifici provano poi la relazione tra apnee e sindrome metabolica, con bambini predisposti a obesità, diabete e a persistenti infiammazioni delle vie aeree.
E' ben conosciuta anche l'influenza negativa dell'ipossia (prima mancanza ricorrente e intermittente di ossigeno nel sangue provocata dai disturbi del respiro nel sonno) sul cuore e sul sistema vascolare, con la predisposizione di giovani e giovanissimi all'aterosclerosi. Più in generale, in età prescolare e scolare il disturbo del respiro nel sonno
Il bambino 'fischia' o ha un respiro sibilante? In gergo si chiama wheezing ed è una condizione piuttosto comune nei bambini tra i 2 e i 5 anni e che passa intorno ai 6 anni nel 60% dei casi, ma che nel 30% dei bambini può essere spia di un’asma bronchiale.
Susanna Esposito, Direttore dell'Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura della Fondazione IRCCS Ca' Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Presidente WAidid, World Association for Infectious Diseases and Immunological Disorders, spiega:
Un recente studio mostra che esiste un evidente collegamento tra il wheezing e alcune varianti genetiche che sono coinvolti nella risposta. Ad essere arruolati nello studio 119 bambini con wheezing senza patologie croniche, ricoverati per il primo episodio di bronchiolite (74 dei quali hanno poi presentato wheezing ricorrente) e 119 coetanei con un'anamnesi silente per patologia respiratoria.
L’analisi ha consentito di confermare che i geni possono giocare un ruolo chiave nella suscettibilità alle infezioni. Il che spiega perché un bambino si ammala spesso di una forma infettiva, anche banale, che può portare a complicanze prima della guarigione, ed un altro non si ammala mai di una forma infettiva. Dal momento che queste varianti genetiche sono trasmesse ereditariamente è quindi probabile che la stessa anomalia genetica sia presente anche nei familiari e che tutti siano maggiormente esposti alle infezioni.