Intorno ai tre anni il bambino inizia a stabilire modi e strumenti per comunicare con i genitori e per relazionarsi con il mondo esterno. In questa fase è importante insegnare al bambino le regole della buona educazione e affrontare con fermezza e determinazione, ma con una buona dose di buon senso, i capricci e i comportamenti scorretti.Nell’affrontare la grande sfida dell’educazione è importante tenere a mente dei punti fermi che possono rivelarsi utili per una gestione flessibile e più costruttiva dell’educazione dei bambini:
Una indagine condotta da Ipsos per conto di Save The Children ha evidenziato come il 25% dei genitori di bambini dai 3 ai 16 anni ricorra allo schiaffo e considera lo sculacciata un efficace metodo educativo. Tuttavia il dialogo e l’ascolto restano per la maggior parte dei genitori italiani i principali valori pedagogici. Del 26% di quelli che invece usa le punizioni corporali, il 22% vi fa ricorso qualche volta al mese e il 5% tutti i giorni e il 49% eccezionalmente.
Ciò dimostra, quindi, che la punizione fisica viene considerata una misura estrema, un’ultima spiaggia quando dialogo e ascolto non sembrano funzionare. Infatti per il 45% lo schiaffo è causato dall’esasperazione, spavento, insomma dalla reazione di un momento, mentre per il 38% è un modo per 'segnalare in modo inequivocabile che si è superato un limite estremo'.
Reiterato nel tempo, durante gli anni dell’infanzia, un'educazione basata sulle punizioni corporali renderà il bambino aggressivo e nervoso oppure, al contrario, depresso.
Secondo il neuropsichiatra infantile Francesco Montecchi il genitore dovrebbe imparare ad osservare oltre che ascoltare e imparare anche a spiegare le proprie frustrazioni al bambino senza scaricarle violentemente su di lui: il genitore che pretende di essere perfetto rischia di cedere più facilmente alla violenza, invece bisognerebbe dare ai bambini un’immagine umana del genitore e accettare i propri limiti, anche con i propri figli.
Uno studio pubblicato sul Canadian Medical Association Journalha, infine, elencato quali sono le strategie più seguite dai genitori da quella del 'sequestro del giocattolo preferito' al cosiddetto 'time out', cioè l’isolamento del bambino dalle attività che sta svolgendo.
Uno studio condotto presso l’università di Pittsburgh ha concluso che urlare ai bambini equivarrebbe a picchiarli. I risultati dello studio sono stati comparati con quelli ottenuti in un’altra ricerca che aveva analizzato gli effetti delle violenze fisiche e alla fine è emerso che in entrambi i casi i bambini erano maggiormente inclini a sviluppare depressione e ad avere atteggiamenti antisociali.
Insomma urlare ai bambini non solo non servirebbe dal punto di vista educativo – perché secondo lo studio i bambini finirebbero col fare l’esatto opposto di quanto gli viene urlato di fare – ma causerebbe anche problemi al loro sviluppo psicologico, esattamente come accade con le punizioni fisiche. E non basterebbe tornare ad essere genitori affettuosi in un secondo momento perché il danno è già stato fatto.
Ming-Te Wang, principale autore della ricerca, spiega che l’ideale è comunicare con i bambini mettendosi sul loro stesso piano, parlando con loro in modo razionale e sincero delle motivazioni per le quali un loro comportamento è sbagliato.